Se c’è una parola che negli ultimi anni ha saputo far discutere più di un referendum costituzionale, è proprio lei: iconico. Basta nominarla e si spalancano due mondi. Da un lato, chi la usa con disinvoltura per descrivere un cappotto di Audrey Hepburn o il rigore di Baggio a Pasadena (e no, non ha solo accezione positiva). Dall’altro, una schiera di guardiani del linguaggio – o meglio, di coloro che si atteggiano a intellettuali – pronti a storcere il naso e a lanciare occhiate di disprezzo dalla loro torre di babele (che ovviamente non chiamerebbero mai “iconica”).
Ma procediamo con ordine e interroghiamoci su quale sia davvero il significato di iconico, perché viene tanto usato – e accusato – e se davvero dobbiamo temerlo o semplicemente capirlo (e magari ridere un po’ di chi lo prende troppo sul serio).
Quando “iconico” fa tremare le sopracciglia degli pseudointellettuali
C’è una categoria umana molto affascinante, che vive in un eterno dibattito tra etimologia e vanità lessicale: sono quelli che si atteggiano a intellettuali. Li riconosci dal modo in cui sospirano quando qualcuno dice “iconico” alla radio. Oppure da come si sentono in dovere di spiegarti, tra un bicchiere di vino e un riferimento a Roland Barthes, che quel termine non va usato “a sproposito”.
Per loro “iconico” è diventato una specie di nemico pubblico numero uno, un sintomo della decadenza culturale. Guai a usarlo per definire una scena di un film, una popstar o un paio di scarpe: “Iconico era solo il volto del Cristo Pantocratore”, ti diranno.
Quello che spesso sfugge a questi crociati del vocabolario è che le parole vivono, cambiano, si adattano. Iconico non è nato ieri, né ha chiesto a nessuno di essere elevato a simbolo della superficialità moderna. È semplicemente diventato, nel tempo, un aggettivo utile. Che può anche risultare abusato, certo — ma non da chi lo pronuncia con naturalezza, quanto piuttosto da chi lo scrive a caratteri cubitali in ogni lancio stampa.
E se proprio vogliamo essere onesti: il fastidio per certe parole non è quasi mai linguistico. È più una questione di distinzione sociale. Dire “iconico” per qualcuno suona come ordinare un cappuccino dopo le undici: tecnicamente possibile, ma socialmente sgradito.
Cosa vuol dire iconico e da dove viene?
Torniamo con i piedi per terra (iconicamente, si intende) e vediamo cosa significa davvero questa parola così chiacchierata. Il significato di iconico, nella sua accezione più semplice, è “che rappresenta qualcosa in modo immediatamente riconoscibile e simbolico”. È un aggettivo che si usa per indicare oggetti, persone, immagini o momenti che hanno acquisito un valore rappresentativo più ampio rispetto a sé stessi.
Per esempio:
- Il tubino nero di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany è iconico.
- La maglia numero 10 di Maradona è iconica.
- La sigla di Superquark… è iconica persino con Piero Angela fermo.
Ma da dove arriva questo aggettivo?
“Iconico” deriva da icona, parola di origine greca: εἰκών (eikón), che significa “immagine”, “ritratto”. L’aggettivo “iconico” ha quindi, in origine, un significato che rimanda a ciò che ha la natura o la funzione di un’immagine. In semiotica, per esempio, un segno iconico è quello che somiglia alla cosa che rappresenta (una fotografia è iconica perché raffigura ciò che mostra).
Col tempo, però, l’aggettivo si è liberato dai suoi vincoli tecnico-semiotici e ha preso il volo verso un uso più popolare e culturale. È così che una scena di un film, un gesto sportivo o persino un’intervista possono diventare “iconici” — cioè simbolici, memorabili, identificativi di un’epoca o di un fenomeno.
Il significato di icona: dal sacro al pop, passando per il desktop
In principio era l’icona religiosa: rigida, dorata, ieratica. Ma poi qualcosa è cambiato. Nel corso dei secoli, il termine icona ha preso strade meno mistiche e più pop.
È diventata immagine simbolica per eccellenza, capace di passare dai santi bizantini a Marylin Monroe, dai mosaici ai manifesti di Che Guevara.
E poi è arrivato il digitale: le icone sono sbarcate sul desktop, trasformandosi in piccoli simboli cliccabili. Ma anche qui, niente di strano. È sempre lo stesso meccanismo: una forma che rappresenta qualcosa di più ampio, che evoca un’azione, un significato, un mondo.
E se una parola ha così tante vite, forse merita anche un aggettivo tutto suo. Ecco quindi che iconico si è reso necessario. Già solo per stare al passo con la storia delle immagini, dei media e della cultura pop.
“Iconico” è ovunque? Forse no. O meglio: dipende da dove guardi
C’è una convinzione diffusa che iconico sia usato dappertutto. Ma è davvero così? Se guardiamo i media, forse sì. Titoli come:
- “Iconico il ritorno di X sul palco”
- “Un’interpretazione iconica dell’inno nazionale”
- “Un outfit iconico per la sfilata di…”
…li troviamo in ogni dove. Ma nel linguaggio parlato di tutti i giorni, iconico è meno diffuso di quanto si creda. E chi lo usa, spesso lo fa con consapevolezza o con una certa ironia.
Il vero abuso, se c’è, non sta nell’uso in sé, ma nell’uso automatico, pigro, ripetitivo. Ma questo vale per mille altre parole: basta pensare a “assolutamente”, “epico”, “devastante”.
Scritto è una cosa, detto è un’altra
Nel linguaggio scritto, specialmente giornalistico e pubblicitario, “iconico” è diventato una parola da prima fila. Serve a dare autorevolezza, pathos, importanza.
Nel parlato, invece, viene usato con più cautela, spesso con un sorriso, come chi sa di pronunciare una parola “di moda”, ma senza prenderla troppo sul serio.
Ed è proprio qui che la parola mostra la sua vera forza: si adatta ai contesti, cambia tono, assume significati diversi. Il che non è un difetto, ma una prova della sua vitalità linguistica.
“Iconico” anche nei cruciverba (e non ce ne vergogniamo)
E ora, con buona pace degli pseudointellettuali con la fronte aggrottata, ecco una notizia che potrebbe farli trasalire: la parola iconico è entrata (da mò) anche nei cruciverba.
Sì, proprio in quei giochi che mettono alla prova il lessico e la cultura generale. Ma attenzione: nel cruciverba che ho creato per accompagnare questo articolo, iconico compare più volte. E nelle definizioni troverete anche parte di ciò che ho esposto in questo articolo.
Una scelta ironica? Certamente. Una provocazione? Forse. Ma anche un modo per dire che non c’è nulla di male nel portare questa parola – discussa ma legittima – dentro un contesto ludico e intelligente.
Il cruciverba è disponibile in fondo a questo articolo: giocalo, risolvilo, scomponilo. Ma non inorridire se “iconico” ti compare tante volte; è tutto calcolato.
E se fosse semplicemente una parola riuscita?
Forse tutto questo clamore intorno a “iconico” si riduce a un malinteso. O a un fastidio estetico. In fondo, le parole esistono per aiutarci a dire le cose. E se una parola fa il suo lavoro, perché scandalizzarsi?
Se a volte viene usata male, pazienza. Se a volte è abusata, succede. Ma forse la verità è che “iconico” funziona proprio perché condensa in una parola sola ciò che altrimenti richiederebbe una perifrasi di tre righe.
In fondo, anche le parole hanno diritto a un po’ di celebrità. E se una riesce a far discutere, ridere, riflettere e… finire in un cruciverba, allora sì: forse è davvero iconica.
Ed ecco il cruciverba… molto iconico

Giornalista e marketer, sono esperto di giochi di parole, rebus, enigmistica e cruciverba. Ho lavorato nel tour operating e poi nel digital, presso i più importanti publisher online, come responsabile del desk editoriale. Nutro sempre una passione sconfinata per i viaggi e per le parole. La esprimo con i contenuti pubblicati su questo sito, con cui spero di offrire momenti di svago intelligente agli utenti.